La pubblica amministrazione lascia a secco i creditori: il tempo medio per i pagamenti è 186 giorni. Maglia nera alla sanità: 40 miliardi il debito complessivo.
Pantalone non paga. E le imprese vanno in crisi. È il caso dell’Italia dove la Pubblica amministrazione, sempre pronta a battere cassa (e in fretta) nei confronti delle aziende insolventi, fa aspettare tempi biblici prima di saldare i conti con i suoi creditori....
L’importo del debito totale ammonta a 90 miliardi di euro, gli stessi che il neo ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, voleva restituire in BoT e titoli di Stato (ottima idea, approvata da tutte le associazioni di categoria, ma rimasta solo sulla carta). E il tempo medio per il rimborso di quanto spetta alle Pmi per i servizi forniti ammonta a 186 giorni lavorativi, oltre quattro mesi. Una bella differenza con gli altri Stati europei se si pensa che, in media, Francia, Germania e Regno Unito impiegano 53 giorni a saldare le fatture. Un dato che vede l’Italia come fanalino di coda dell’Europa a 27, dove la media totale dei pagamenti è di 63 giorni e dove una recente direttiva, votata quasi all’unanimità dal Parlamento di Strasburgo, ha fissato in 60 giorni il tetto limite.
La maglia nera, secondo una recente ricerca della Cgia di Mestre, spetta a ospedali e Asl: il debito dello Stato in camice bianco ha raggiunto, e probabilmente superato, quota 40 miliardi di euro, il 70% dei quali concentrati nelle regioni del Centro-Sud.
Emblematico il caso della Calabria dove i privati sono costretti a un’attesa media di 925 giorni prima che vengano onorate le pendenze. E la macchina burocratica mette in evidenza pericolosi segnali di un ulteriore rallentamento: dal 2009 il tempo medio è aumentato di 234 giorni, oltre sette mesi. Non se la passano meglio gli imprenditori che vantano crediti in Molise (829 giorni), Campania (771), Lazio (387), Sardegna (312) e Puglia (309).
Tutte al di sopra di una media nazionale che negli ultimi due anni è passata dalle 277 giornate del 2009 alle 299 del 2011 (anche se il dato non è ancora definitivo, visto che si riferisce soltanto ai primi 11 mesi). Le «eccellenze», se così si possono definire tempi di pagamento comunque superiori di quasi il doppio alla media Ue, si trovano tutte al Nord. In Trentino Alto Adige si attende 92 giorni, 94 in Friuli Venezia Giulia, 112 in Lombardia, 113 in Valle d’Aosta.
Ma quando tocca al privato pagare, in Italia la media scende drasticamente. Secondo una statistica di Fondazione Impresa il tempo si ferma a soli 47 giorni. Il privato di norma fa in fretta e salda il suo debito, quando invece tocca a Pantalone il portafoglio stenta ad aprirsi e per avere il proprio compenso si aspetta, si aspetta e si aspetta ancora. E così le aziende, specialmente le piccole e le medie, il famoso «tessuto connettivo» dell’economia del Paese, finiscono per dover sopravvivere quotidianamente con l’acqua alla gola. Alle fatture non saldate corrisponde una liquidità che si assottiglia e gli imprenditori sono costretti a indebitarsi per pagare dipendenti (che di solito vengono stipendiati regolarmente il 27 di ogni mese), fornitori (abbiamo visto che il tempo medio è di un mese e mezzo) e tasse (con Equitalia che va di fretta).
Finendo in un vortice che vede aumentare l’esposizione verso il sistema bancario in un momento come questo in cui gli istituti di credito difficilmente prestano denaro con facilità. È in atto un vero e proprio credit crunch, come evidenziato da Bankitalia nel suo rapporto sul secondo semestre 2011. Rubinetti chiusi per tutti, specialmente dalle banche piccole e medie sul territorio, generalmente quelle più vicine e inclini nei confronti delle Pmi.
Non a caso cresce a dismisura il numero dei contribuenti che ha chiesto al Fisco di poter rateizzare i propri debiti, nel 2011 il 10% in più rispetto al 2010: a marzo erano 1,1 milioni per un ammontare di 15 miliardi di euro. E anche il governo Monti si è accorto dell’emergenza inserendo nella manovra di Natale il provvedimento che estende a 72 mesi i tempi di pagamento per le imprese delle cartelle di Equitalia e che consente ai privati la vendita diretta dei beni pignorati, invece di vederli svenduti sottocosto alle aste fallimentari.
Un sasso nel mare per chi dallo Stato aspetta ancora 90 miliardi di euro.
Fonte: IlGiornale
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